Con la sentenza n. 248 del 12 gennaio 2012, la Corte di Cassazione ha ribadito che in un rapporto di collaborazione professionale deve escludersi la natura della subordinazione laddove risulti che il collaboratore non solo non sia sottoposto a vincoli di orario, ma che svolga anche attività riconducibili alla sfera dell’associazione professionale.
Nel caso in esame, i giudici d’appello avevano respinto la richiesta di attribuire il carattere di subordinazione ad un rapporto di lavoro intercorso tra un consulente fiscale e uno studio professionale.
Secondo la Corte d’Appello il rapporto intercorso tra le parti non poteva rivestire alcuna natura subordinata, semmai poteva essere riconducibile ad un’ipotesi di associazione professionale, anche in virtù di un riscontrato potere direttivo che il collaboratore esercitava nei confronti del personale di studio.
Contro questa sentenza sia il collaboratore sia l’INPS ricorrono in Cassazione. Secondo il ricorrente il riscontrato esercizio di un suo potere direttivo nei confronti del personale di studio era in contrasto con l’adombrata ipotesi di un’associazione professionale, essendo peraltro evidente che tra le parti era intercorsa un’intesa professionale, non per questo riconducibile ad un contratto di tipo associativo.
Per la Cassazione il ricorso deve essere respinto poiché la Corte di merito ha ritenuto, con valutazione logica e congruamente motivata, che il rapporto di lavoro non rivestiva natura subordinata. Infatti, dalle risultanze istruttorie era emerso che il collaboratore non solo dirigeva i dipendenti dello studio, ma non era vincolato ad un orario di lavoro e neppure all’obbligo di giustificare le assenze. Inoltre, nell’ambito della sua attività seguiva anche propri clienti che riceveva in studio. Decisivo anche il fatto che il consulente avesse sottoscritto con lo studio un contratto di associazione professionale