Il part-time è un modo di lavorare sempre più diffuso, anche perché riesce a coinvolgere nel mondo del lavoro chi, come le donne, rischia altrimenti di rimanerne fuori. In Europa un lavoratore su cinque ha un contratto a tempo parziale. In alcuni paesi la percentuale è anche maggiore. Il paese in cui è più diffuso è l’Olanda dove il 48,3 per cento dei dipendenti ha un contratto a tempo parziale, il secondo paese è la Svezia con il 27 per cento dei contratti totali. In Italia, in dieci anni, la quota di chi ha un contratto a tempo parziale è passata dal 7,9 per cento al 14,3 per cento.
Sono molte le ragioni delle differenze nel livello di diffusione del part-time e della sua composizione tra posti a bassa e alta qualificazione. Di certo incide la possibilità di accesso ai servizi di assistenza all’infanzia, quando questi servizi sono inadeguati o troppo costosi le donne tendono a essere costrette a un’occupazione part-time poco qualificata.
Il fenomeno ha una caratterizzazione di genere poiché coinvolge soprattutto le donne e in questi ultimi tempi comincia a interessare anche figure manageriali. Per lo più sono i manager nell’ambito delle risorse umane ad avere un contratto par time.
La media continentale è del 32 per cento per la componente femminile e dell’8,3 per cento per quella maschile. In Italia la sproporzione è ancora più accentuata, il 30 per cento delle donne rispetto al 6 per cento degli uomini.
Il part-time prevede vantaggi e svantaggi. Tra i vantaggi troviamo un impatto positivo sul tasso di occupazione, soprattutto delle donne, per contro prevede spesso una minore retribuzione oraria e minori opportunità di progressione di carriera e di formazione.