Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 11356/2011, in caso di licenziamento di un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, riconducibile a ragioni produttive e organizzative dell’impresa, l’obbligo del datore di lavoro di dimostrare l’impossibilità di poterlo adibire ad altro ruolo in azienda non si considera assolto solo perché nel reparto di possibile destinazione non sono state effettuate nuove assunzioni.
Si tratta del cosiddetto “obbligo di repechage”, in ragione del quale il datore di lavoro deve dimostrare l’impossibilità di poter ricollocare il lavoratore licenziato – ai sensi della L. 604/1966 – nell’ambito dell’organizzazione aziendale, adibendolo comunque a mansioni equivalenti.
In particolare, il lavoratore contestava il fatto che i giudici di merito, pur avendo riconosciuto la disponibilità ad essere impiegato in tutto il ramo tecnico o nell’ufficio industrializzato del prodotto, avessero finito poi per ritenere sussistente la prova dell’impossibilità del repechage per la sola circostanza che nessun lavoratore era stato assunto dal datore di lavoro in quel reparto, tanto più con il suo inquadramento. Per il ricorrente, la mancata assunzione di altri lavoratori nel reparto indicato non dimostra affatto che egli non potesse essere adibito ad altro ruolo in tutto il ramo tecnico, come dichiarato in udienza, il che evidenzierebbe una carenza di indagine costituente un vizio motivazionale.
Per i giudici della Corte di Cassazione il motivo è fondato poiché il convincimento del giudice d’appello, in ordine al raggiungimento della prova circa l’assolvimento dell’obbligo di repechage da parte della società, si fonda su un dato che potrebbe essere occasionale o, in ipotesi, addirittura voluto, pertanto non si può avere conoscenza del reale impegno profuso dal datore di lavoro nell’assolvimento del predetto obbligo.