Il tasso di disoccupazione giovanile è ai massimi storici dal 2004 e le offerte di impiego sono sempre più scarse e di minore di qualità. Sono in molti ad accettare posti che non hanno nulla a che fare con i loro percorsi di studio e con retribuzioni sempre più basse.
Secondo lo studio Censis, negli ultimi anni, nel terziario, gli occupati nelle professioni non qualificate sono aumentati quattro volte di più di quelli nelle posizioni a elevata specializzazione e a ingrossare l’occupazione non qualificata sono stati proprio i laureati.
Secondo l’indagine realizzata da Gidp per il quotidiano “La Repubblica”, per l’associazione di direttori del personale le cose non sono riconducibili a un’unica interpretazione. Un direttore del personale su tre è convinto che per un giovane neolaureato valga la pena accettare qualsiasi impiego mentre sei imprenditori su dieci sono invece convinti che sia vero solo in parte.
Il 65 per cento dei direttori del personale pensa che in questo momento per un giovane neolaureato sia meglio un corso di formazione che un impiego che non ha nulla a che fare con il proprio percorso di studi e di esperienze. Formarsi e studiare una lingua permetterebbe di rientrare sul mercato più preparati. Ancora più importante forse è il fatto che se ci si ritrova a fare un lavoro molto lontano dalla propria formazione, si rischia di essere poco interessati e, di conseguenza, poco produttivi.
Per i responsabili delle risorse umane, i ragazzi dovrebbero comunque avere un approccio molto più pragmatico. L’essenziale è entrare in azienda, dopo si può trovare il modo giusto per farsi conoscere.
Per Roberto Nicoletti, prorettore agli studenti dell’università di Bologna, “Accettare un lavoro non dovrebbe essere soltanto una scelta per tutelare un aspetto economico. Nel caso di un lavoro sottopagato che non piace, non si può prendere quello che danno, solo per portare due lire a casa. La vita non è infinita, il tempo passa e non si può perdere tempo. E’ chiaro che dipende dalle situazioni personali delle persone, se uno arriva a un punto in cui diventa necessario portare a casa anche una piccola somma, allora è finito il giudizio teorico.”
Per Nicoletti “dal punto di vista teorico, uno dovrebbe accettare dei lavori magari non di altissimo profilo ma che sono legati al proprio percorso di studi o a quello che uno vuole che sia il proprio lavoro futuro. Svolgendo questi incarichi si mette insieme un poco di esperienza e si creano i vari pezzi che vanno a comporre la professionalità per il lavoro.”