Il giornalista inglese Richard Donkin, nel suo ultimo libro “Il futuro del lavoro” (ed. Gruppo 24 ore), immagina il lavoratore del futuro come un professionista che si impegna a fondo e che lavora ovunque, senza limiti di tempo né soluzione di continuità con la propria vita privata.
Donkin parte dal convincimento che “il lavoro va ridefinito per renderlo uno stile di vita più gradevole e appetibile”. Un passaggio che Walter Passerini, autore della prefazione all’edizione italiana, identifica come quello dal lavoratore dipendente al lavoratore intraprendente: “Contrariamente a quanto preannunciava Jeremy Rifkin in ‘La fine del lavoro’, quest’ultimo continuerà ad esserci e aumenterà. E il futuro non sarà solo per i lavoratori dipendenti, ma anche e soprattutto per i lavoratori autonomi. Il lavoro è oggi il problema più grande che abbiamo, ma insieme anche la più grande opportunità per le persone”.
L’impatto pervasivo della tecnologia e uno dei fattori da tenere maggiormente d’occhio per capire come si evolverà il mondo del lavoro. Secondo Passerini “La tecnologia da un lato fa sparire posti di lavoro, ma dall’altro ne crea in misura aggiuntiva. Quella che cambia è la qualità di questi posti, che richiedono elevate competenze, altrimenti si diventa dei ‘drop out’, dei ‘paria’ delle tecnologie. In questo, il futuro è dei più giovani. Senza determinismi tecnologici, ma riempiendo le tecnologie di contenuti, di valori e di significati”.
Sempre secondo Passerini “Teoricamente potremmo lavorare molto di meno e meglio. Ma così non è. Nonostante le tecnologie lavoriamo di più e siamo permanentemente connessi 24 ore su 24 con le tecnologie. L’invasione del lavoro nella sfera privata sta creando diverse reazioni: quella degli alcolisti del lavoro, i cosiddetti ‘workaholic’, e quella dei fuggitivi che si chiamano fuori. Un elemento emergente è la necessità di trovare un maggiore equilibrio tra tempo di lavoro e tempo di vita”.