La flexicurity è un sistema di politiche del lavoro che prevede una maggiore flessibilità del mercato del lavoro unitamente a più sicurezza per i lavoratori nei momenti di crisi.
L’Unione Europea ha inserito nella propria strategia per l’occupazione questo modello che si basa sul cosiddetto “triangolo d’oro danese” che prevede: contratto flessibile, ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro.
Secondo Federico Lucidi, ricercatore della Fondazione Brodolini di Roma “Nei Paesi in cui il sistema funziona la disoccupazione non è percepita dai lavoratori come un rischio grave ma come una fase della vita che non li costringe a rimettere in discussione i propri progetti di vita. Presupposto del sistema è che il mercato non sia segmentato e che non si crei un mercato duale in cui alcune categorie sono più protette di altre”.
In Italia, secondo Lucidi, “il mercato è duale, la flessibilità è al margine e il segmento più tutelato dal punto di vista contrattuale, è anche quello più protetto dal sistema degli ammortizzatori sociali”. Secondo il ricercatore, per introdurre il modello della flexicurity in Italia, il primo punto sarebbe riformare il sistema degli ammortizzatori sociali per estendere le tutele a tutti i lavoratori, compresi quelli parasubordinati.
Secondo Tassinari, docente di Statistica economica all’Università degli studi di Bologna, invece, “La fexicurity è un modello vincente se l’economia cresce e ci sono posti di lavoro ad alto valore aggiunto, in Italia andava bene all’inizio degli anni Novanta quando c’era una forte crescita, riproporla adesso quando l’economia cresce poco e non c’è innovazione, è un errore tecnico”.
Per Tassinari il modello da seguire sarebbe quello del reddito minimo di cittadinanza, un sistema elaborato negli anni Novanta dai laburisti inglesi. “Oggi le imprese innovano poco e creano i margini abbassando il costo del lavoro, ecco perché il reddito minimo di cittadinanza andrebbe nella direzione giusta per mettere al riparo i cittadini da una situazione difficile”. Si tratterebbe, in sostanza, di un salario minimo garantito dallo Stato a chi ha un reddito inferiore a una determinata soglia. “Il problema è che il reddito minimo di cittadinanza potrebbe essere visto come un incentivo a non lavorare e andrebbe pertanto combinato con strumenti di politica attiva del lavoro per stimolare le persone a lavorare”.